La Cassazione torna a pronunciarsi in materia di detenzione senza titolo (e, indirettamente, in materia di locazione in nero).
Questa volta è la III sezione civile, sentenza 7 luglio – 21 settembre 2015, n. 18494, ad esprimere il seguente principio:
“La perduta disponibilità d’un immobile non costituisce un danno in re ipsa, nel senso che, provata l’occupazione
abusiva, non può dirsi per ciò solo provato il danno. Quest’ultimo, tuttavia, può essere dimostrato col ricorso a presunzioni semplici, e può consistere anche nell’utilità teorica che il
danneggiato poteva ritrarre dall’uso diretto del bene, durante il tempo per il quale è stato occupato da altri.”
In altre parole: il danno da occupazione senza titolo non è “in re ipsa” e perciò andrà provato; la prova però è di particolare tenuità, potendo essere basata su elementi presuntivi
semplici.
Ma andiamo nel dettaglio.
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Cass. III Sez., sent. 7 n. 18494/15 interviene in un contesto che, come al solito, è abbastanza confuso e contraddittorio. E' la medesima sentenza, infatti, a premurarsi di informare che in materia la Cassazione ha dato vita nel corso degli anni a sentenze contrastanti, le quali hanno dato vita a due orientamenti.
-1) Il primo orientamento è sostenuto dalle seguenti sentenze: Sez. 3, n. 9137 /2013; Sez. 2, n. 14222/2012, Sez. 2, n. 5568/2010; Sez. 3, n. 3251/2008; Sez. 3, n. 10498/2006; Sez. 3, n. 827/2006; Sez. 2, n. 649 /2000; Sez. 2, n. 1373/1999; secondo l'orientamento in questione in caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui, il danno patito dal proprietario è in re ipsa (e perciò non c'è necessità di dimostrare che vi sia un danno: si presume che esso vi sia di certo).
- A tale conclusione si giunge assumendo che il diritto di proprietà ha insite in sé le facoltà di godimento e di disponibilità del bene che ne forma oggetto: sicché, una volta soppresse tali facoltà per effetto dell’occupazione, l’esistenza di un danno risarcibile può ritenersi sussistente sulla base d’una praesumptio hominis, superabile solo con la dimostrazione concreta che il proprietario, anche se non fosse stato spogliato, si sarebbe comunque disinteressato del suo immobile e non l’avrebbe in alcun modo utilizzato.
- La concreta stima del danno, potrà avvenire ricorrendo al concetto di danno "figurativo",
vale a dire che il Giudice dovrà far riferimento al valore locativo dell’immobile occupato.
-2) Il secondo orientamento è sostenuto dalle seguenti sentenze (sempre della Cassazione, come detto): Sez. 3, n. 15111/2013 e Sez. 3, n. 378/2005; secondo tale orientamento il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa, né coincide col mero fatto dell’occupazione.
- Secondo questo orientamento, infatti, l’occupazione non è il danno, ma la condotta produttiva del
danno. Pertanto il danneggiato che chieda il risarcimento del pregiudizio causato dall’occupazione sine titulo è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del
proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver
sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi anche della prova presuntiva.
La confusione, come si vede, non potrebbe essere maggiore, al punto che sentenze emanate negli stessi anni affermano principi in stridente contrasto tra loro.
La sentenza in esame si schiera decisamente con il secondo orientamento, ma lo mitiga sensibilmente, cercando probabilmente di ottenere un valido compromesso tra le due opposte ricostruzioni giuridiche.
Ma andiamo nel merito.
Il Giudice di Appello aveva rigettato la domanda perchè la parte attorea non avrebbe né allegato, né provato:
- che l’immobile usurpato fosse idoneo agli usi “sui quali il primo giudice ha argomentato al fine di pervenire”
all’accoglimento della domanda;
- che esistesse un danno;
- che il bene fosse “appetibile” nel mercato delle locazioni immobiliari;
- di avere rinunciato a vantaggiose proposte di locazione.
Questa motivazione, rileva però la sentenza in esame “è irrispettosa dell’art. 1226 c.c.. Essa, infatti, presuppone che un immobile non possa avere altro uso che la vendita o la locazione. Trascura, invece, di considerare che qualsiasi bene è suscettibile anche di uso diretto da parte del proprietario, e l’uso diretto ha una utilità avente un contenuto economico (il cd. opportunity cost nell’analisi economica del diritto)”.
Nel cassare la sentenza (con rinvio alla Corte di Appello) la Cassazione ha pertanto enunciato il seguente principio di diritto:
“La perduta disponibilità d’un immobile non costituisce un danno in re ipsa, nel senso che, provata l’occupazione abusiva, non può dirsi per ciò solo provato il danno. Quest’ultimo, tuttavia, può essere dimostrato col ricorso a presunzioni semplici, e può consistere anche nell’utilità teorica che il danneggiato poteva ritrarre dall’uso diretto del bene, durante il tempo per il quale è stato occupato da altri” (Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 luglio – 21 settembre 2015, n. 18494).
Sicuramente, comunque, questo non è l'ultimo capitolo, perchè a questo punto il contrasto tra i due orientamenti continua a permanere; in linea di massima, allo stato attuale, il risarcimento del danno sembra realisticamente conseguibile senza soverchie difficoltà da parte di chi ha avuto un immobile occupato, per le seguenti ragioni:
- Anche il più sfavorevole degli indirizzi richiede, si, che tale danno sia provato ma - come detto - ammette che tale prova si basi su elementi presuntivi semplici.
- D'altra parte nulla impedisce che il giudice adito aderisca addirittura al primo orientamento, per cui nemmeno ci
sarebbe bisogno di provare l'esistenza del danno, ritenendo che esso sia “in re ipsa”.
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